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Quante volte lo abbiamo detto ai nostri figli e quante volte lo abbiamo sentito dire a noi stessi?
Ma vedendo un adulto in difficoltà, affranto, in lacrime, direste mai di smettere di piangere? Di bloccare quel naturale comportamento legato ad una profonda sofferenza perché voi noi la provate? O perché non comprendete appieno il motivo per il quale si senta così giù? Molto probabilmente non lo fareste!
Abbiamo la presunzione di credere che le sofferenze degli adulti siano più legittime rispetto a quelle dei bambini, che quando piangono, si lamentano o si mostrano giù di morale vengono catalogati come bambini “capricciosi”. Per loro però quel che per noi può essere banale racchiude un mondo di significato, che sia il giochino rotto o l’amichetto che va via prima dal parco, per loro sono perdite e determinano una sofferenza.
Accogliendo il loro sentimento e comunicando che li comprendiamo li faremo sentire meno soli, autorizzati a mostrare le loro emozioni e non le banalizzeremo. Li faremo sentire compresi e accolti, qualunque sia il motivo per il quale si sentano tristi. Nomineremo quell’emozione così che sappiano cosa stanno vivendo e impareranno in futuro a leggere i loro sentimenti in autonomia. Svilupperanno empatia che li connetterà agli stati d’animo altrui. Questo consentirà ai bambini di lasciare andare quell’emozione poiché sentono che è legittima e normale e ripristineranno più velocemente il loro equilibrio, tornando sereni.
Data l’educazione che la maggior parte di noi genitori abbiamo ricevuto diviene difficile mettere in atto questo tipo di relazione con i nostri figli, ma se diveniamo consapevoli di quanto possiamo ricavare da questi semplici e potenti accorgimenti comprenderemo il suo senso profondo e creeremo una relazione di profonda fiducia e rispetto con i nostri bambini.
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