È la domanda che mi sono fatta anche io quando, durante la scelta dei corsi di Laurea, mi sono imbattuta nel corso di Scienze del Servizio Sociale. Ero praticamente all’oscuro di quale ruolo ricoprisse un’Assistente Sociale ed anche io avevo in testa solo qualche spiacevole pregiudizio. Nel mio immaginario vedevo una signorina severa, poco alla moda e sempre arrabbiata che arrivava a sorpresa a casa delle persone e ne sconvolgeva la vita; insomma qualcuno da temere e non certo da contattare per chiedere aiuto!
Mi sono domandata quale lavoro avessi voluto fare ed ero certa che la mia scelta dovesse ricadere su una professione di aiuto. Mi sono pertanto informata ed ho amato questo mondo, comprendendolo; mi ci vedevo: era il lavoro per me!
Dopo la fine degli studi non vedevo l’ora di iniziare a lavorare e di mettere le mani in pasta e poter applicare quanto appreso. Dopo una breve esperienza in un Consultorio milanese, trovai un’occupazione in un Servizio di Tutela Minori. Beh l’inizio di questa esperienza non fu tanto facile e mi ritrovai catapultata in una realtà molto complessa e delicata. Ho avuto la fortuna di avere splendide colleghe molto esperte e disponibili ad aiutarmi e poco dopo adorai quel campo tanto da non volerne più fare a meno. Ho capito proprio lì quanto il lavoro dell’Assistente Sociale fosse prezioso. L’obiettivo del lavoro sociale è quello di fornire alle persone gli strumenti per farcela da soli, aiutandoli a riconosce e far emergere le proprie capacità. Questo concetto viene presentato già negli anni di studio, in cui il tema prevalente è quello dell’Empowerment, ossia un processo di crescita personale che punta all’autodeterminazione dell’utente, quale persona competente. L’Assistente Sociale dunque sorregge le persone in una fase delicata della propria vita e le accompagna alla riscoperta delle proprie capacità, così che possano in futuro affrontare in maniera autonoma una situazione similare.
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